I Castagneti: portatori di memorie e tradizioni

Il castagneto è uno degli ecosistemi forestali più conosciuti, dove il castagno, che è il protagonista assoluto, evoca nell’immaginario comune storie e racconti tramandati nella tradizione locale. Gli esemplari più antichi, plurisecolari, sono testimoni di storie passate e della resilienza delle comunità montane; il castagno è infatti conosciuto come “albero del pane” poiché per anni, grazie ai suoi frutti, le popolazioni di montagna hanno potuto provvedere al proprio sostentamento. I castagneti sono, quindi, un patrimonio che ha plasmato il paesaggio montano e con una storia che affonda le radici nel medioevo, sono affascinanti per la loro caratteristica struttura ordinata e il sottobosco curato tipici di un “bosco giardino” nel quale dedicarsi a una piacevole passeggiata. Essi richiedono attenzioni costanti, come la pulizia del sottobosco e la potatura, e offrono frutti, legno e i prodotti del bosco come funghi, miele e risorse naturali e di conseguenza il costante abbandono ne minaccia l’esistenza, portando ad una potenziale perdita di biodiversità e di un patrimonio culturale locale essenziale.

È fondamentale, quindi, preservare questi soprassuoli (e i loro singoli alberi secolari) per mantenere viva la memoria storica e per poter continuare a godere dei benefici ambientali e delle funzioni ecologiche che offrono.

Il castagneto è uno degli ecosistemi forestali più conosciuti, dove il castagno, che è il protagonista assoluto, evoca nell’immaginario comune storie e racconti tramandati nella tradizione locale. Gli esemplari più antichi, plurisecolari, sono testimoni di storie passate e della resilienza delle comunità montane; il castagno è infatti conosciuto come “albero del pane” poiché per anni, grazie ai suoi frutti, le popolazioni di montagna hanno potuto provvedere al proprio sostentamento. I castagneti sono, quindi, un patrimonio che ha plasmato il paesaggio montano e con una storia che affonda le radici nel medioevo, sono affascinanti per la loro caratteristica struttura ordinata e il sottobosco curato tipici di un “bosco giardino” nel quale dedicarsi a una piacevole passeggiata. Essi richiedono attenzioni costanti, come la pulizia del sottobosco e la potatura, e offrono frutti, legno e i prodotti del bosco come funghi, miele e risorse naturali e di conseguenza il costante abbandono ne minaccia l’esistenza, portando ad una potenziale perdita di biodiversità e di un patrimonio culturale locale essenziale.

È fondamentale, quindi, preservare questi soprassuoli (e i loro singoli alberi secolari) per mantenere viva la memoria storica e per poter continuare a godere dei benefici ambientali e delle funzioni ecologiche che offrono.

Il faggio: custode delle foreste

Le faggete rappresentano la vera espressione del bosco montano in Appennino. Sono ecosistemi estesi in cui oggi il faggio regna sovrano dando vita a soprassuoli di pura bellezza. L’aspetto di questi soprassuoli varia a seconda delle condizioni micro-climatiche e della forma di governo.

Per secoli, le faggete sono state fondamentali per le popolazioni montane dell’Appennino poiché la legna da riscaldamento e il carbone costituivano importanti risorse per la loro sopravvivenza, la prima per riscaldare i rigidi inverni, il secondo quale prodotto disponibile per il commercio.

Attualmente è ancora possibile notare la presenza di elementi del paesaggio forestale riconducibili alle passate attività di utilizzazione come le vecchie carbonaie, piccole piazzole pianeggianti realizzate direttamente in bosco, ma anche mulattiere e sentieri utilizzati per esboscare il legname e portare a valle il cambone. Il valore economico che le faggete hanno per le popolazioni montane non può essere ignorato neppure oggi, tuttavia la valorizzazione della multifunzionalità di queste estese foreste dovrà necessariamente trovare spazio nella gestione futura di queste formazioni forestali.

Le faggete rappresentano la vera espressione del bosco montano in Appennino. Sono ecosistemi estesi in cui oggi il faggio regna sovrano dando vita a soprassuoli di pura bellezza. L’aspetto di questi soprassuoli varia a seconda delle condizioni micro-climatiche e della forma di governo.

Per secoli, le faggete sono state fondamentali per le popolazioni montane dell’Appennino poiché la legna da riscaldamento e il carbone costituivano importanti risorse per la loro sopravvivenza, la prima per riscaldare i rigidi inverni, il secondo quale prodotto disponibile per il commercio.

Attualmente è ancora possibile notare la presenza di elementi del paesaggio forestale riconducibili alle passate attività di utilizzazione come le vecchie carbonaie, piccole piazzole pianeggianti realizzate direttamente in bosco, ma anche mulattiere e sentieri utilizzati per esboscare il legname e portare a valle il cambone. Il valore economico che le faggete hanno per le popolazioni montane non può essere ignorato neppure oggi, tuttavia la valorizzazione della multifunzionalità di queste estese foreste dovrà necessariamente trovare spazio nella gestione futura di queste formazioni forestali.

Le abetine: i boschi resilienti

Le abetine dell’Appennino settentrionale sono foreste dominate dall’abete bianco (Abies alba) spesso mescolato al faggio.

Un tempo l’abete bianco risultava molto diffuso nell’Appennino settentrionale, tuttavia la sua presenza è diminuita drasticamente nell’ultimo millennio soprattutto a causa delle attività antropiche (massicce utilizzazioni per ricavarne legname da opera). Alcuni nuclei naturali sono tuttavia rimasti e oggi si presentano come piccole isole sempreverdi all’interno del mare del bosco di faggio. La presenza di questi nuclei relitti di abete bianco è straordinariamente importante per l’enorme variabilità genetica riscontrata all’interno di questi popolamenti. Si tratta di una “dimensione” della biodiversità che spesso ignoriamo ma che in realtà riveste un’importanza straordinaria nell’assicurare a questa specie una buona resistenza agli impatti del cambiamento climatico. Proteggere e gestire attivamente questi lembi di foreste significa salvaguardare un’importante memoria ecologica e un patrimonio naturale che potrebbe risultare fondamentale per il futuro delle foreste appenniniche.

I Boschi di Querce e Carpini: Un Mosaico di Vita Selvaggia

I boschi di querce e carpini, o querco-ostrieti, sono il cuore pulsante della media montagna appenninica, un rifugio di biodiversità e di eterna trasformazione. Questi boschi formano un ecosistema dinamico, dove piante come il carpino nero, l’orniello e la roverella si alternano, creando un paesaggio che cambia con le stagioni. A queste altitudini alcune aree altre latifoglie possono arricchire la vegetazione, formando transizioni verso altri tipi di foreste. Nel loro corteggio floristico vantano la presenza di numerose specie erbacee e arbustive che in primavera regalano spettacolari esplosioni cromatiche.  La struttura di questo bosco è un delicato gioco di livelli, dove la vegetazione si intreccia in un mosaico armonioso, dando vita a un paesaggio che vibra di bellezza e complessità. Anche i boschi di querce, carpino, frassino e orniello hanno rivestito in passato un’importante funzione produttiva in quanto nel corso dei secoli sono stati utilizzati dalle popolazioni montane per ricavarne legna da ardere.

Gli impianti artificiali di conifere: Ripristini di versanti degradati

Gli impianti di abete bianco e rosso, creati artificialmente su terreni di media ed alta quota, si estendono a macchia di leopardo su entrambi i versanti dell’Appennino tosco-emiliano. Mescolate con altre conifere come pino silvestre, pino nero e douglasia, queste abetine sono state create allo scopo di minimizzare l’erosione del suolo di aree aperte, per aumentare la stabilità dei versanti e nel contempo produrre legname da opera.

Questi impianti artificiali, realizzati in condizioni ecologiche non ottimali per le specie utilizzate e senza le necessarie cure colturali, iniziano a manifestare oggi tutta la loro vulnerabilità anche alle perturbazioni climatiche. Giunti ormai a maturità necessitano di specifici interventi di rinnovazione.

Uomini e foreste

Il Centro Uomini e Foreste d’Appennino, istituito nel 2018, è un progetto culturale, articolato e complesso che si concretizza in un tavolo permanente di confronto e consultazione pubblica finalizzato a comprendere e condividere, tra tutti i portatori di interesse, il ruolo delle foreste nel presente e nel futuro.

Attraverso un percorso allargato a tutti i livelli decisionali, il Centro intende aumentare la consapevolezza sulla portata delle attuali scelte gestionali di proprietari di foreste, gestori e tecnici sul ruolo che le foreste giocheranno nella futura risposta ai cambiamenti climatici.

Un progetto che coinvolge una pluralità di soggetti appartenenti a istituzioni, al mondo scientifico, alle associazioni di categoria, al mondo produttivo, imprenditoriale, della formazione e della cultura e che trova nel “Centro uomini e foreste d’Appennino” la sua anima e la sua forza propulsiva. Il Centro si propone di sviluppare soluzioni anche sul fronte delle azioni di contrasto e adattamento delle foreste al cambiamento climatico pur in un contesto gestionale come quello del territorio della Riserva MAB Appennino tosco-emiliano orientato a produrre reddito.

Dagli incontri, realizzati negli anni con i diversi soggetti coinvolti, in uno scenario generale di estrema vulnerabilità sia dei sistemi naturali che di quelli umani, è emersa la necessità di una presa di coscienza del problema della corretta gestione del patrimonio forestale affinché le foreste siano in grado di svolgere le loro funzioni anche per le generazioni future.

Il decalogo della gestione delle foreste del Parco Nazionale dell’Appennino tosco-emiliano

L’assunzione di questa responsabilità, nonché la cooperazione tra enti gestori e proprietari di soprassuoli forestali nell’attuazione di politiche ed azioni concrete di mitigazione, contrasto e adattamento al cambiamento climatico, ha consentito l’individuazione di dieci principi guida che sintetizzano il pensiero condiviso tra tutti i partecipanti al Tavolo:

  1. maggior rewilding nelle riserve naturali e nelle proprietà demaniali, quindi più foreste vetuste o più vetustà per i boschi maturi allo scopo di contribuire a conservare la biodiversità ed a aumentare la resilienza e la resistenza al cambiamento climatico;
  2. più associazionismo, ovvero accorpamento delle proprietà e delle gestioni in forme consortili, usi civici, associazionismo fondiario e accordi di foresta, in modo da poter operare con superfici e quantità adeguate che consentano più economicità, efficienza e innovazione;
  3. maggiore naturalità nella struttura delle foreste di proprietà pubblica, dei beni di uso civico e dei consorzi gestite attraverso piani di assestamento al fine di differenziare il patrimonio e il paesaggio e poter disporre di legname più adatto per usi più nobili, conservativi e a maggior valore aggiunto in termini di reddito e di lavoro;
  4. migliore qualità nel governo a ceduo anche attraverso la promozione e l’introduzione della pianificazione e gestione degli interventi con tecniche operative innovative, anche al fine di contribuire alla mitigazione degli effetti del cambiamento climatico e ridurre la dispersione di CO₂ dal suolo;
  5. più certificazione di gestione responsabile e sostenibile per far crescere la cultura d’impresa del bosco, responsabilità e qualità della gestione e partecipazione trasparente a tutte le filiere di utilizzo;
  6. maggiore diversificazione negli usi del legno prelevato affiancando progressivamente all’uso della legna da ardere la destinazione di una parte del legname a usi più nobili e più ricchi di valore aggiunto;
  7. più formazione tecnica e professionale per alzare la qualità imprenditoriale, tecnica, professionale di tutti gli operatori del bosco, in quanto addetti a beni e servizi di valore comune;
  8. più ricerca per indagare e monitorare gli effetti dei cambiamenti climatici, favorire la conservazione della biodiversità e le attività di conservazione attiva;
  9. maggiori risorse pubbliche (e meglio destinate) per remunerare i servizi ecosistemici erogati dalle foreste, i maggiori costi delle gestioni più attente e conservative o eventuali rinunce volontarie alle utilizzazioni da parte di privati, ricordando l’articolo 41 della Costituzione sull’obbligo di indennizzo alla proprietà privata per le limitazioni di interesse generale;
  10. più governance creando tavoli pubblico-privati e sedi istituzionali adeguate mediante il Centro “Uomini e Foreste”, per governare la complessità degli interessi.

 

In linea con la Strategia Forestale nazionale, approvata nel 2022, il Gruppo di Certificazione dell’Appennino tosco-emiliano si è dotato di un DOCUMENTO DI POLITICA DI GESTIONE FORESTALE DI GRUPPO (approvato da tutti i membri del Gruppo) che sancisce l’impegno di soddisfare i bisogni della generazione attuale senza compromettere quelli delle generazioni future, garantendo la perpetuità di tutti i valori del bosco, impegnandosi a:

  • garantire la perpetuità delle cenosi forestali;
  • assicurare la crescita reale effettiva dei propri popolamenti forestali attuando un prelievo di massa legnosa coerente all’accrescimento, anche al fine di garantire il mantenimento o il raggiungimento di livelli di massa legnosa ottimali, contribuendo così positivamente anche al ciclo globale del carbonio;
  • adattare le foreste al cambiamento climatico.

 

In particolare, per quanto riguarda le attività di gestione forestale da attuare il Gruppo fa riferimento ai seguenti principi:

a) mantenere la maggiore funzionalità dei propri popolamenti forestali al fine di consentire, oltre alla produzione legnosa, anche l’erogazione di beni e servizi multifunzionali (e in particolare le funzioni protettiva, ambientale e turistico-ricreativa, conservazione della biodiversità e della qualità del suolo e dell’acqua nonché assorbimento e stoccaggio del carbonio);

b) assicurare la crescita reale effettiva dei propri popolamenti forestali attuando tagli che comportino un prelievo di massa legnosa coerente all’accrescimento, anche al fine di garantire il mantenimento o il raggiungimento di livelli di massa legnosa ottimali, contribuendo così positivamente anche al ciclo globale del carbonio;

c) porre particolare cura, nella predisposizione dei piani di gestione forestale, nella individuazione e tutela di soprassuoli boschivi particolarmente significativi da assoggettare a regimi selvicolturali particolari, al fine di costituire/mantenere boschi “da seme” o boschi “didattici”, individuando, altresì, eventuali emergenze storiche, naturalistiche e ambientali di particolare rilievo;

d) tenere conto, nella gestione dei propri popolamenti forestali, non solo delle condizioni del soprassuolo ma dell’intera biocenosi forestale con riferimento agli aspetti legati alla fauna (anche mediante il rilascio di determinati soggetti arborei o la sospensione delle utilizzazioni in particolari periodi dell’anno) e alla flora protetta o a quella di particolare pregio floristico, cercando di non compromettere le aree di naturale diffusione di determinate specie (salvaguardia di zone umide, ecc.) e comunque mirando a un aumento complessivo della biodiversità;

e) accompagnare e supportare gli interventi selvicolturali con un’analisi degli impatti sui popolamenti boschivi al fine di valutarne gli effetti sull’evoluzione futura, prestando attenzione agli accorgimenti atti a prevenire danni al suolo e al soprassuolo;

f) pianificare, costruire e mantenere le infrastrutture, quali strade e altre vie di esbosco, in modo tale da assicurare l’efficiente distribuzione di beni e servizi e ridurre al contempo gli impatti negativi sull’ambiente;

g) promuovere corsi di formazione, aggiornamento e addestramento per i propri operatori al fine di minimizzare i rischi di incidenti sul luogo di lavoro;

h) impegnarsi a non ricevere né promettere tangenti relativamente alla gestione forestale.